Dior Cruise 2021: i look della sfilata di Lecce
di ANNA MARIA GIANO da VOGUE 22/07/2020
Da Parigi al Salento, da Lecce verso il resto del mondo. Maria Grazia Chiuri racconta le sue origini salentine in una collezione che si fa inno alla tradizione, alla condivisione e al savoir-faire femminile
Dior sfila a Lecce con la collezione Cruise 2021 ispirata alle bellezze del Salento
“Biancamente dorato è il cielo, dove sui cornicioni corrono angeli dalle dolci mammelle, guerrieri saraceni e asini dotti con le ricche gorgiere.” – Dopo la Luna, Vittorio Bodini, 1956
Lecce dorata, con nell’aria profumo di pane caldo di forno, dalla crosta fragrante, rumore legnoso di telai, di fili di cotone ruvido che scorrono e s’intrecciano, una frase in dialetto, cantata e ritmica, le luci per le feste patronali rivolte al cielo dei Santi di Puglia, come la più pura delle preghiere. Maria Grazia Chiuri torna a casa, a un Salento corale che è terra di tradizione, buona vita e condivisione – lo fa con la collezione Dior Cruise 2021, nata da un virtuosismo di menti, mani e vite che sfilano insieme nella piazza del Duomo. Porte chiuse per un attimo sublime che tramuta il sud Italia nel centro del mondo, sorprendendo i sensi fini di una couture avvezza al profumo di rose con un verace aroma di pomodoro fresco e genuino. Accanto a lei, gli antichi mastri e mestieri di Puglia, sostituitesi alla sartorialità d’oltremare per convogliare l’attenzione sull’artigianato italiano. La piazza è uno scoppio di fuochi d’artificio, silenziosa kermesse di colori e luci che partecipano del barocchismo della cattedrale di Santa Maria Assunta: sono le Luminarie di Marinella Senatore, creatrice locale, che nel pizzo metallico e vitreo del setting ricama frasi di matrice femminista.
“Un frenetico gioco dell’anima che ha paura del tempo, moltiplica figure, si difende da un cielo troppo chiaro.”
L’antropologia ancestrale di Ernesto De Martino, il tarantismo, il folklore e la sacralità del piacere del territorio sono l’antefatto teorico che guida la mente della direttrice creativa nello stilare i contorni di abiti che la maieutica delle tessitrici della Fondazione Le Costantine porta alla vita, traendo la materia di Bar Jacket tessute a mano semplicemente interpretando i suoi pensieri e visioni, come levatrici nell’atto di fare nascere un bambino. Parte una pizzica di tamburelli, sonagli e poesia, ballerini in bianco e nero fermi in una fissità sanguigna e primitiva, cornici di rami d’ulivo e spighe di grano si spengono. Inizia lo show.
Le texture sono ruvide e naturali, fibre vive nelle sfumature della terra: color sabbia, calcestruzzo bruciato da secoli di sole e reso polvere d’oro, verde marittimo di macchia mediterranea specchiata sul mare, rosso e ancora rosso, vene di magenta, lacca e ciliegia come nel fiorire della più bella fra le estati. Bianco, panna, ecru piatto come un cielo carico del calore di fine luglio. Verde kaki e accenni di rosa antico scuro come l’arrossire a uno sguardo di troppo, marrone cioccolato sul pellame intarsiato come icone agiografiche. I tagli morbidi di vestiti, gonne, pantaloni e camicie sono trattenuti sul torso da un bustier con allacciatura a lisca di pesce – non quello dei sarti scultori di Francia, ma quello delle contadine nei campi arsi del Salento. Il décor floreale è l’omaggio a Miss Dior, alla tradizione di rose e mughetti di monsieur Christian e dei suoi giardini in pieno sboccio: niente centifoglie ma solo papaveri di Pietro Ruffo che spandono il profumo oppiaceo della campagna d’estate, una frase di Heinrich Heine che aleggia sospesa – “les Parfums sont les sentiments des fleurs” (“I profumi sono i sentimenti dei fiori”). Il ricamo a tombolo è intenso di forme che riprendono gli arzigogoli della cattedrale, il panorama visuale del paese in processione e delle sue luminarie, gli scoppi di coriandoli, cibi, colori e costellazioni di una notte in piazza grande.
Gilet di maglieria per proteggere il cuore, cappotti lunghi e trame geometriche tratte dagli archivi di un’antica arte tessile, bordi in morbida lana ricordano il pelo ispido e nuvoloso delle greggi. I capelli e una bandana, un monile sul tulle e l’organza, borse portate a mano, la Book Tote, la Saddle, la Bobby appena nata – all’interno spighe di grano come nei pomeriggi tra donne in famiglia a raccogliere ricordi. I piedi calzati da sandali aperti e ballerine morbide, da uno stivale di foggia locale, accessorio sorto dalla terra umida di pioggia e semi e antenato delle silhouette lineari e schizzinose di oggi. Il gioiello è minimale e sfacciatoal tempo stesso, una catenina dorata al collo per ogni memoria persa, per ogni persona ritrovata, un grappolo d’uva rosso corallo come ciondolo che incita a un brindisi e al gioviale bicchiere di vino, il cammeo ereditato dalla nonna con un nastro in gros grain che è un nodo in gola di nostalgia.
L’orchestra suona, i ballerini drammatici nella perfezione di una passione non controllata e lasciata libera di esplodere, acqua sulla pelle fra sudore e lacrime, un grido strazia l’anima e l’ultimo abito varca i cancelli, una ballerina strega, maga conturbante e cantatrice del passato sigilla la scena con occhi chiusi, capelli sciolti e mani sul volto. Giuliano Sangiorgi sale sul palco, è Lu Rusciu De Lu Mare con la tragedia di amore e morte, è Meraviglioso, il grande, spietato e disperato inno a quella vita mai tanto preziosa come oggi.
“Un’aria d’oro mite e senza fretta s’intrattiene in quel regno d’ingranaggi inservibili fra cui il seme della noia schiude i suoi fiori arcignamente arguti e come per scommessa un carnevale di pietra simula in mille guise l’infinito.”
Maria Grazia Chiuri porta in Italia lo spettacolo di una moda che è resurrezioni dalle ceneri, grido di speranza di un’umanità che, dopo la sofferenza, trova nelle origini, nelle radici, la forza per innalzarsi nuovamente. È la maternità della terra che accoglie e guarisce, il vigore della famiglia e dei ricordi che sostengono, la gioia della bellezza che rende tangibile lo scopo dell’essere, il potere della vita inarrestabile e violenta come una pizzica ballata nel silenzio.